In un mondo che va incontro al dominio della finzione una serie a volte può essere più efficace della realtà. Lo ha dimostrato il caso di 'Adolescence', la serie Netflix che raccontava la storia del tredicenne Jamie Miller, arrestato con l'accusa di aver ucciso una compagna di scuola. La geniale intuizione dell'autore, Stephen Graham, che interpreta anche il padre, e l'ha scritta con Jack Thorne, è stata quella di dare carne ed ossa ad un problema che qui arriva alle estreme conseguenze. Certo un contributo importante l'ha dato la regia di Philip Barantini, che ha girato tutti gli episodi in piano sequenza, e degli interpreti, a cominciare dallo straordinario protagonista Owen Cooper. Ma il nodo di cui si sta dibattendo da mesi è quello dell'universo parallelo, sconosciuto ai genitori, in cui vivono oggi gli adolescenti nati digitali e immersi nei codici social.
I genitori che hanno in casa un adolescente hanno scoperto qualcosa su di lui o lei vedendo questa serie, che non a caso monopolizza il dibattito sui media da quando è uscita. Eppure quello che meraviglia è che sono anni che le ricerche degli psicologi, dei medici, dei pedagogisti, e persino le attività di molti protagonisti dello showbiz, cercano di catalizzare l'attenzione sul disagio giovanile che ha raggiunto percentuali mai sfiorate prima. Ci voleva insomma una serie per scoprire i problemi dei propri figli. Ora qualcosa di molto simile sta accadendo con 'Da rockstar ad assassino: il caso Cantat'. Qui si tratta di una docu-serie, quindi non parliamo propriamente di fiction quanto di un vero caso di cronaca, ma il meccanismo di disvelamento delle tre puntate è altrettanto sorprendente. Parte del resto dal racconto di una giornalista, Anne-Sophie Jahn ,che seguì in prima persona come inviata il caso, e che fa da voce narrante in una sorta di autoanalisi, che è poi quella che dovrebbe fare tutto il sistema dei media.
È l'estate del 2003 quando la Francia, ma non solo, assiste all'arresto in diretta di Bertrand Cantat, fascinosa quanto carismatica star del rock francese e frontman della popolarissima band Noir Désir, in seguito a una violenta lite con la sua compagna, l'altrettanto affascinante attrice Marie Trintignant, che lui lascia in fin di vita e che morirà dopo pochi giorni, il primo agosto. Il fatto è che tutta la narrazione di quell'evento, che fu di portata mondiale, come racconta la stessa Jahn, fu segnata in modo inequivocabile che una serie di pregiudizi che, visti ora, solo 20 anni dopo, sembrano a dir poco medievali. A poco servì la battaglia della famiglia Trintignant, e della coraggiosa amica di Marie, la cantante e attrice Lio, che cercò unica e sola di riportare tutti all'evidenza dei fatti a costo anche della propria carriera.
Cantat, che aveva commesso un violento femminicidio uccidendo di botte Marie Trintignant, l'aveva abbandonata per ore in coma e aveva mentito, fu liberato dopo appena quattro anni in libertà vigilata - "tanto vale la vita di una donna", commenta Lio - tra il delirio collettivo di fan e ovviamente il giubilo dei compagni di band e della casa discografica. Ma la storia non finisce qui, perché in questa colossale quanto patriarcale rimozione, Cantat fu mandato ai domiciliari a casa della ex moglie, Kristina Rady, madre dei suoi tre figli, che nel gennaio del 2010 fu trovata misteriosamente morta suicida a pochi metri dal cantante che dormiva beato. Non fu mai aperta un'inchiesta, nonostante un'altra giornalista, Michelle Fines, dimostrò con un'inchiesta e vari testimoni anonimi che Cantat era da sempre un violento e aveva aggredito l'ex moglie in altre occasioni.
Kristina, poco tempo prima del tragico epilogo, aveva lasciato un messaggio disperato ai genitori ungheresi denunciando il clima terribile in cui era costretta a vivere. Insomma una rimozione collettiva che ora la docu-serie riporta alla luce scatenando il dibattito in Francia, mentre il mondo ha fatto decisivi passi avanti in difesa delle donne e contro la violenza. Uno dei nodi centrali che vengono messi in luce è proprio quello della narrazione mediatica, come sottolinea più volte Richard Kolinka, ex partner di Marie Trintignant e padre di uno dei suoi quattro figli rimasti senza madre dopo questa tragica fine.
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