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Bocconi amari, la furia della famiglia di Eleonora Danco

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Bocconi amari, la furia della famiglia di Eleonora Danco

Tutti contro tutti in due compleanni a anni di distanza

ROMA, 08 febbraio 2025, 15:56

Redazione ANSA

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(di Paolo Petroni) Dei testa a testa verbali violenti, dei corpo a corpo per una forte fisicità cui tutto è improntato a cominciare dalla recitazione, un tutto contro tutti è la realtà della famiglia che mette in scena Eleonora Danco con questo suo ''Bocconi amari - Semifreddo'' sino a domenica 16 febbraio al Teatro Vascello di Roma, che lo produce, assieme al Metastasio di Prato.

Si tratta di due pranzi a distanza di vent'anni, due feste di compleanno, prima quella della madre e poi, scomparsa lei, quella del vecchio padre con i tre figli, Paola giovane disturbata e i fratelli quarantenni Luca e Pietro, alle prese con un proprio quotidiano irrisolto .
    Ci sono qui le belle invettive vitali, un'intima furia, mentre manca quella ribellione col racconto diretto di disagi e follie cui la Danco, col suo porsi sempre all'assalto, senza tirarsi indietro, ci aveva abituato, mossa da un'energia rabbiosa, con una fisicità e flusso di parole che sgorga vulcanico e si scarica sul pubblico, coinvolgendolo col proprio gioco autodistruttivo e, alla fine, di violenza impotente, nell'esibizione e verbalizzazione di un disagio assoluto, che trova la propria forza nel riuscire ad essere quotidiano e esistenziale assieme.
    E' quel che accade anche qui, in questo aspro scontro famigliare, che però questa volta rimane eguale dall'inizio alla fine, nella prime e nella seconda parte, senza una reale evoluzione nonostante i venti anni passati, così che non c'è crescita e questo spaccato di solitudini violente non prende vera vita, si esibisce senza coinvolgere e rivelarci qualcosa di più assoluto, come accadeva invece in tanto teatro di questa donna, da ''Intrattenimento violento'' a ''dEVERSIVO'', per non citare i suoi lampeggianti e temporaleschi assolo.
    Bella invenzione è quella del padre che come monito e sottolineatura incisiva cita l'inizio dell'Inferno dantesco sino a ''Ahi quanto a dir qual era è cosa dura'', ma non basta per rendere esemplare quel che accade.

Il problema, oltre alla costruzione della pièce che appare una tranche de vie senza prima e senza dopo che spieghino quella realtà così immanente, è forse il linguaggio che è forte, violento, molto ritmato ma schematico, senza quella magmaticità che conoscevamo, capace anche di strappare una risata, teatralmente giocato tra prosa e scrittura in versi, tra denuncia e confessione, dal ritmo ossessivo, con rime e assonanze, giochi di parole e libere associazioni, magari anche tra italiano e romanesco.
    La Danco posta su Istagram foto in cui lei è schiantata, spiaccicata a terra in un supermercato o per strada, sulla banchina di una stazione o su una spiaggia, sono la sintesi di una poetica, di una disperata solitudine e bisogno d'amore, d'attenzione da parte di un mondo dalla violenta indifferenza.
    Sono questi anche i personaggi di questi due tempi famigliari giocati attorno a un tavolo cui si siedono e abbandonano continuamente, un po' anche loro immobilizzati in una situazione, cui verso la fine non riescono a aggiungere molto alcune brevi, non sempre chiare, visioni di quelli che paiono momenti, immagini più serene di fanciullezza dei due uomini, invecchiati e polverosi, imbiancati, e non della ragazza, nella seconda parte ridotta inopinatamente a una sorta di mummia, quasi un coccodrillo che si muove su rotelle.
    Per sé l'autrice e regista sceglie il personaggio maschile del padre, quasi solo rabbioso nella sua impotenza, mentre la madre sempre sconfitta è Orietta Notari, i due figli Lorenzo Ciambrelli e Federico Majorana e la sorella animale è Beatrice Bartoni, applauditi alla fine.
   

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