(di Francesco Gallo)
LUIGI A. MANFREDA, ALBINO, (PALOMBI,
PP.164, Euro 19,00)
"La scrittura deve farsi uguale a zero per lasciar emergere il
contenuto, che a sua volta deve farsi uguale a zero per essere
compreso". Così, con ragione, Luigi A. Manfreda parla nel breve
risvolto di copertina del suo romanzo 'Albino', nomen omen di
un protagonista sicuramente senza troppo colore, scarnificato e
antieroe per eccellenza. Chi ha detto mai che si debba parlare
solo di esseri straordinari?
Manfreda, professore di Filosofia Teoretica a Tor Vergata e
scrittore, non la pensa così. E in questo romanzo con echi di
Kafka e Robert Walser e del tutto distopico troviamo il
protagonista alle prese con avventure minime, ma per lui
altrettanto straordinarie.
Cosa si sa di Albino? Non molto. Solo che è un giovane medico
che da York, la città dove vive, si sposta in un paese tra le
montagne, Hony-town. Vero scopo di questo suo trasferimento il
fatto che in quella località vive uno zio che è il solo a
conoscere la vera storia del suo misterioso padre, unica
persona che anima in lui vero interesse e passione. Nel
frattempo scoppia una guerra ed Albino viene assoldato
dall'esercito come medico.
Ora anche questa guerra è fatta di sfumature e attese, quasi non
c'è. Per Albino ad Hony-town anche qualche approccio amoroso,ma
senza nessuna reale conclusione come il destino della sua vita
impone.
"E' un libro di avventure senza tesi metafisiche, né messaggi.
Da ragazzo - dice Manfreda all'ANSA - leggevo Salgari e Verne,
a me hanno sempre affascinato le avventure. Fin da allora mi è
rimasto dentro il fatto che la scrittura viene prima della
ricerca filosofica. Molti mi hanno detto che è un testo
criptico, ma non è vero anche se sono consapevole di aver
scritto un libro in cui la forma non ha nessun peso. C'è sempre
l'idea che la forma salvi, ma io non ci credo. La forma in
questo libro è proprio ridotta a zero, c'è la sua
neutralizzazione".
E il contenuto? "Anche quello si annichilisce, diventa uguale a
zero. Quello che resta è l'idea che il presente sia un
simulacro, irreale. Tutte riflessioni che ho fatto dopo averlo
scritto".
Chi è il protagonista? "Albino fa pensare a qualcosa di etereo,
senza peso specifico, gravità. Uno che si muove cercando di
capire quello che gli capita ed è alla ricerca del padre.
Naturalmente quest'ultimo è un archetipo, la legge, la radice.
Poi Albino lo trova, ma non è come avrebbe sperato, immaginato".
Cosa le piacerebbe dicessero di questo libro?
"Amerei che si vivesse l'esperienza che io stesso faccio con i
libri che amo. Non è che mi dicono qualcosa sulla vita però ne
esco comunque rinforzato, ne esco bene, felice. È come se avessi
fatto un'esperienza che mi rimanda a tanti strati, profondità.
L'enigma è nel quotidiano solo che noi non lo vediamo, una cosa
vista diecimila volte ci sembra non abbia più segreti, ma in
realtà resta ancora un segreto".
Che rapporto c'è tra filosofia e letteratura?
"Credo che quest'ultima sia superiore alla scrittura filosofica.
Sartre diceva che si era messo a scrivere testi per il teatro e
romanzi perché aveva capito che la scrittura filosofica si
fermava ad un certo punto. Anche per me è così. Un testo di
Kafka, Joyce, Proust è molto più denso di quelli filosofici
anche se il registro è ovviamente molto diverso. Nei prossimi
anni spero di fare meno testi filosofici e lavorare più a
queste cose a cui dedico ora una piccola parte del mio tempo".
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