È stato forse il più grande ambasciatore della cultura afroamericana e del jazz negli anni Sessanta, ma i fratelli neri non lo amavano troppo, per loro Louis Armstrong mostrava un volto troppo apolitico, rappresentava l'unica immagine che i bianchi tolleravano dei neri, quella rassicurante e simpatica di chi alla fine sa stare al suo posto. Questa una delle tesi del docufilm di Sacha Jenkins LOUIS ARMSTRONG'S BLACK & BLUES che uscirà il 28 ottobre su Apple TV+ e che passa oggi alla Festa di Roma nella sezione Freestyle. Ma era proprio così il trombettista Louis Daniel Armstrong, noto anche con il soprannome di Satchmo o Pops, nato a New Orleans il 4 agosto 1901? Quella era solo l'immagine pubblica, perché, dietro quella facciata, l'artista la pensava diversamente e fu anzi più volte anche un riferimento per il movimento dei diritti civili. Il film attinge infatti alle molte ore di diari audio, meticolosamente da lui registrati, e agli album di Armstrong che rivelano un lato diverso dell'uomo, oltre alla personalità affabile che mostrava sul palco e davanti alla telecamera. LOUIS ARMSTRONG'S BLACK & BLUES, non a caso, si apre con Orson Welles che introduce Armstrong nel suo spettacolo come "uno dei più grandi jazzisti e il numero uno nel suo campo. Non ce ne sarà mai un altro come questo". Tante le testimonianze, come quella della moglie Lucille che ricorda quanto fossero felici nella loro casa nel Queens di New York, sottolineando poi come Armstrong fosse una "persona profonda e consapevole di ciò che accadeva nel mondo, ma non avrebbe mai mostrato questa sua consapevolezza in un'intervista". Un esempio: "Ti ha penalizzato essere un nero in un paese di bianchi?" - "No, io non la vedo così" replica rassicurante Armstrong al giornalista. Spiega il regista: "Di questo artista inizialmente sapevo poco, ma lavorando su di lui ho scoperto che aveva mille talenti: musicista, cantante, artista, scrittore, uomo elegante con un grande senso dell'umorismo". Sottolinea poi Sacha Jenkins come con Black & Blues abbia tentato di raccontare l'uomo, cercando di spiegare come mai fosse l'unico afroamericano ammesso tra i bianchi. "Essendo anche io afroamericano, per me è difficile parlare al posto di un bianco. Ma come dice Armstrong nel film, a molti bianchi non piacevano i 'negri', ma ce n'era uno di cui andavano tutti pazzi: Armstrong era 'il negro' di tutti". A salvare questo artista fu anche un uomo: "Armstrong strinse infatti un'alleanza strategica con Joe Glaser (artista manager noto per il suo coinvolgimento nelle carriere di musicisti jazz, tra cui Billie Holiday, ndr). Lui sapeva come tenere a bada i bianchi che molestavano il suo cliente. Non c'era però nulla che Glaser potesse fare per evitare le ingiustizie razziali che Armstrong subiva quasi ogni giorno".
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