VENEZIA - Una miriade di spunti di riflessione, di progetti architettonici fattibili, non di fantastiche utopie, per dare risposte "a una delle sfide più importanti del nostro tempo: l'adattamento a un mondo alterato".
Carlo Ratti, curatore della 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, dal 10 maggio al 23 novembre prossimi, parla di "un esperimento" che, attorno al tema del costruire per garantire all'umanità una sopravvivenza, chiama in campo più saperi, più forme di intelligenza - naturale, artificiale, collettiva - e guarda alle ricerche che vengono compiute nello spazio come possibili soluzioni non per traslocare in altri pianeti o navicelle, ma per migliorare il nostro essere sulla Terra.
"Per decenni - rileva Ratti -, l'architettura ha risposto alla crisi climatica con la mitigazione: progettare per ridurre il nostro impatto sul clima"; adesso è tempo di cambiare, è il momento "che l'architettura passi dalla mitigazione all'adattamento" e questo richiede "un cambiamento radicale della nostra pratica", serve ripensare "l'ambiente costruito". Questo non significa fare affidamento solo sulla sirena dell'intelligenza artificiale, ma fare sì che questa si unisca in un dialogo-confronto-unione con quella naturale - dai batteri alle piante - e quella collettiva, quella che potrebbe essere riassunta nel termine"gens", che assieme alla radice "Intelli" compone il titolo dell'esposizione (Intelligens. Natural.
Artificial. Collective.).
Una sfida epocale, che Ratti ha risolto dando vita a una Biennale di Architettura che attraverso più di 250 progetti e 750 partecipanti sa offrire un livello fondamentale di domande che investono il clima, il sociale e una proposta espositiva-installativa quanto mai variopinta, coinvolgente, dinamica. Punto nodale del progetto curatoriale sono gli spazi delle Corderie all'Arsenale dove l'apertura è un colpo allo stomaco che ha il valore di un enunciato: una sala molto calda - con una installazione acquatica di Michelangelo Pistoletto - dominata da macchinari per l'aria condizionata, che dice che il nostro stare al fresco in stanze chiuse significa concorrere ad aumentare le temperature esterne. Il percorso della mostra - articolato in tre sezioni più una quarta intitolata "out" - è quanto mai fluido, segnato soprattutto da interventi installativi che parlano della crescita della popolazione mondiale, della necessaria integrazione tra umanità e forme viventi non umane, di recupero degli scarti per nuove edificazioni sostenibili - anche delle rovine provocate dalle bombe in Ucraina - del possibile uso del Dna vegetale per immagazzinare dati, per nuovi materiali derivanti dalle alghe, dalle banane, dal rapporto con i robot, dalla trasformazione delle ceneri provocate dagli incendi, come a Los Angeles, in strutture, al possibile futuro di un nucleare pulito con le centrali proposte da Newcleo e progettate da Pininfarina. Spazio anche alle sperimentazioni come l'usare l'acqua della laguna, adeguatamente trattata in modo naturale e controllata sul piano sanitario, per fare il caffè oppure l'allevamento di grilli da liberare poi in laguna sulla riva accanto alle Gaggiandre, davanti al Padiglione Italia.
Lungo gli spazi dell'Arsenale e in varie punti della città, da Piazza San Marco ai vari palazzi, si dipanano soluzioni che affrontano questioni che bussano alle porte, che chiedono interventi, che riguardano la stessa sopravvivenza del genere umano. È in sostanza una Biennale del presente, dell'urgenza del fare, che elegge Venezia a "laboratorio dinamico" e riunisce architetti che hanno smesso i panni dei "demiurghi" e ingegneri, matematici, scienziati, artigiani, artisti, filosofi, cuochi, intagliatori di legno e altre realtà professionali perché "l'adattamento richiede incisività e collaborazione".
Riguardo all'idea di Venezia come laboratorio, il presidente della Biennale Pierangelo Buttafuoco ha detto che va inteso come "il farsi opera. Io voglio arrivare alla bottega, al dar senso al farsi della bottega dove si incontrano le generazioni, le esperienze, le sensibilità, le competenze, Si incontra l'elemento fondante di questa fatica chiamata arte ed è il rapporto Cimabue-Giotto. Mi piace che Venezia attraverso la Biennale restituisca alle sensibilità del mondo una possibilità di essere bottega dove si imparano tutte le discipline dell'arte". Il presidente ha quindi evidenziato, sulla base dell'esperienza della Biennale, l'attenzione che c'è nell'altra parte del mondo verso Venezia. "Mi avventuro in un paradosso: quel che New York è stata per l'Occidente adesso è Venezia per il mondo che verrà e il mondo che verrà è quel pezzo di dinamo, di energia che è l'Africa e quel pezzo di giacimento delle energie che è l'Asia".
Quest'anno, il Padiglione Centrale è in restauro, favorendo così la disseminazione dei progetti in città e il suo essere "laboratorio vivente", e i Giardini accolgono dei progetti all'esterno e sono dedicati soprattutto ai Padiglioni stranieri (quello di Israele è chiuso).
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