MARRAKECH - "Ho dedicato questa maratona a mio padre, scomparso di recente, perché 250 km nel deserto sono nulla rispetto a quello che per tutta la vita lui ha fatto per me". Antonio Saccinto, 50 anni, milanese ha affrontato la sfida della 'Marathon des Sables', la corsa più estrema per un corridore, quest'anno per la prima volta nella sua vita. Eppure ogni giorno ha a che fare con l'allenamento, perché fa il personal trainer. Era nella squadra dei 35 italiani che si sono confusi tra i mille maratoneti del Sahara, arrivati da più di 50 paesi fino alla sabbia dorata a qualche chilometro da Ouarzazate, tra le dune del Marocco. Una corsa divisa in sei tappe, alla fine vinta dall'atleta marocchino Rachid El Morabity, che ha aggiunto l'undicesima medaglia al curriculum da gazzella. Ma a correre c'erano atleti di età compresa tra i 76 e i 16 anni, la più anziana una donna francese, il più giovane un ragazzo accompagnato dal papà.
"Sono arrivato in fondo alla competizione e in questo senso anche io ho vinto - racconta Antonio -. Ma quel che è ancora più importante per me è che nella tappa più lunga, quella di 82 chilometri, sono riuscito a trovarmi. Ho compreso il valore del tempo, quello che devo dedicare alla mia famiglia e quello che non devo farmi sottrarre dagli altri. È vero, il deserto cura, ha preso i demoni che avevo dentro e li ha portati via. Non avevo mai messo piede prima in un deserto, è stato come vivere una magia".
Di passaggio a Marrakech per rientrare in Italia, Antonio Saccinto torna sulla sua esperienza. Un anno fa, quando ha deciso di partecipare alla Marathon des Sables, confessa di aver avuto paura e di aver accettato la sfida personale più che atletica della competizione. "Volevo restare vigile, temevo che l'arroganza del mio fisico potesse prevalere. Sono allenato, ce la faccio: e invece no. La maggior parte di chi ha fallito in questa corsa era tra gli atleti più forti, che sono collassati alle prime tappe perché non sono riusciti a gestirsi". Se c'è una cosa che ha imparato da questa gara, dice sia "gestire la sofferenza". E continua: "Ero da solo, sfiancato dalla fatica, dalla tempesta di sabbia e dalla sete. Ho vinto perché sono arrivato primo nella mia battaglia personale".
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