"Si può fare buon cinema e buona
cultura anche quando le risorse sono poche". È la premessa del
ministro della Cultura Alessandro Giuli nel suo intervento al
panel 'Per un nuovo immaginario italiano, la via italiana per la
rinascita del settore cinematografico' che ha riunito una serie
di addetti ai lavori, tra cui l'Ad della Rai Giampaolo Rossi, ad
Atreju.
Nel rispondere alle critiche che sono piovute sul nuovo
sistema per erogare risorse al cinema Giuli sottolinea che "la
destra è sicurezza e legalità, è ordine anche nei conti pubblici
ed è meritocrazia. Quindi dopo anni di disordine in cui si
mescolava un cinema stellare a posizioni di rendita - prosegue -
il governo di destra e centro si è incaricato di mettere ordine,
dicendo 'noi partecipiamo al rischio di impresa ma con ordine,
creando selezioni e norme rigorose'". Un discorso questo che
"riguarda il tax credit e tutto il complesso" precisa.
Del resto, secondo Giuli, "è evidente che c'è bisogno di dare
anche un segno identitario: vi siete mai chiesti perché non c'è
mai stata una fiction su Fabrizio Quattrocchi?", è il quesito
che il ministro rivolge alla platea, ricordando che con ogni
probabilità ce ne sarà una presto su Nicola Calipari. Perché è
giusto incoraggiare "a patto che sia rappresentata una realtà
plurale, è un diritto? È un dovere per chi amministra la
cultura" afferma Giuli per il quale "dovrebbe esistere un tax
credit più incoraggiante per opere che hanno meno disponibilità
come quelle dei giovani". Insomma "bisogna saper spendere bene".
Inoltre in tema di creazione di un immaginario "questo
significa creare sfere di autoriconoscimento, non il film
iraniano con la cinepresa fissa sull'erba che cresce. Occorre
riattivare le nostre radici, attingere a quelle profonde e
rappresentarle. Occuparsi di cosa? Rappresentare le periferie,
rappresentare gli immigrati di prima e seconda generazione,
raccontare la guerra e i conflitti sociali. Bisogna essere meno
ombelicali, accorciare le distanze tra centro e periferia che è
la verità" spiega Giuli che mette in guardia dal politicamente
corretto declinato nella cultura woke. "Oggi alcune cose non
rientrano nei codici della nostra società, di cultura woke si
muore perché quello che produce non è la censura, è
l'autocensura. Alla fine morirà per autofagia, a forza di negare
negherà se stessa: allora saremo più liberi e potremo
rappresentare la nostra società senza paura" conclude.
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